Lunedì 11 marzo 2024 la consigliera comunale Antonella Di Pietro ha presentato un intervento di inizio seduta in Consiglio comunale dal titolo “La sicurezza negli istituti penitenziari al tempo del Governo Meloni”.

E’ possibile accedere qui al video dell’intervento in aula.

Di seguito il testo dell’intervento in aula.

La sicurezza negli istituti penitenziari al tempo del Governo Meloni
Parto dal bando per l’assunzione di nuovi 2568 allievi agenti di polizia penitenziaria nelle carceri. Il governo Meloni parla di un investimento sulle assunzioni senza precedenti, volto a mettere in sicurezza i nostri istituti penitenziari. Non è un caso che lo annunci proprio in occasione della festa nazionale della polizia penitenziaria che doveva essere l’opportunità per affrontare in tutti i suoi aspetti il problema carcere, ma di fatto ha assunto solo toni propagandistici. Al di là delle assunzioni della polizia penitenziaria, si è parlato di tutto, tranne che di carcere. Vorrei sottolineare dei punti per fare chiarezza. Il governo millanta di aver trovato le risorse per le assunzioni e di porre così finalmente al centro la questione della sicurezza negli istituti penitenziari. In realtà le risorse e i bandi per il turnover relativi a pensionamenti erano già stati previsti dai governi precedenti, quindi non c’è nulla di nuovo. Da un lato, le nuove assunzioni non andranno neanche a coprire il vuoto che produrrà il corpo penitenziario in uscita; dall’altro si tenta di far passare il messaggio che tutte le problematiche del carcere possano essere risolte con queste assunzioni, quando non si sta minimamente affrontando la complessità della questione. Uno dei principali problemi è il sovraffollamento che costringe i detenuti a vivere in condizioni disumane. Problema che con il Governo Meloni e il Decreto Caivano ha raggiunto numeri drammatici, come del resto hanno più volte denunciato anche i sindacati. Ricordo che a Bologna, la casa circondariale Rocco D’ Amato, ha una capienza di 492 detenuti, con una presenza che supera ampiamente 800 detenuti e anche qui, l’arrivo dell’organico non colmerà le fuoriuscite da pensionamento: sono solo gocce nel mare. Pensare di risolvere tutto inasprendo le pene è illusorio e fuorviante. Le situazioni di povertà e fragilità esistenti richiedono interventi diversi e di ben altra portata. La costituzione, non parla di pene carcerarie, parla di pene e dice che la pena deve essere rieducativa. Ammette ad esempio le pene alternative, con cui si potrebbe davvero risolvere il problema del sovraffollamento. Inoltre nelle carceri italiane mancano servizi, strutture alternative, medici, infermieri, mediatori culturali, educatori. Ma al governo questo non interessa e taglia su ogni tipo di investimento. Non interessano neanche le pene alternative e i percorsi di reinserimento, e neppure il lavoro strutturato e di collegamento con il territorio che come sappiamo è un altro aspetto fondamentale della questione. Il governo pensa che il carcere sia la risposta a tutto e che serva a ristabilire sicurezza e nulla di concreto viene fatto per rispettare il dettato costituzionale che parla di pene e non di pene carcerarie e che affronta il sovraffollamento, rendendo evidente il diritto allo spazio vitale e umano dei detenuti. Aspetti che il governo calpesta costantemente e che rende impraticabili con strategie che trasformano gli istituti penitenziari in ghetti di disperazione e di brutale emarginazione. Il Governo dice di porre al centro la sicurezza, eppure nelle scelte adottate non c’è niente che vada nella direzione di costruire nelle città percorsi di sicurezza sociale e non si pone neanche il problema di come reagiranno le persone, con queste politiche, una volta uscite dal carcere. Così facendo il governo mistifica la realtà e avvalla trattamenti disumani che non fanno altro che aggravare le condizioni dei detenuti e delle città. Siamo stati di recente alla sezione penitenziaria femminile della Casa circondariale Rocco d’Amato. Abbiamo avuto modo di confrontarci più volte con operatori, volontari sindacati e di comprendere quanto incidono i percorsi professionali e di formazione nel benessere e nel reinserimento delle persone. Abbiamo conosciuto storie di detenute che grazie a percorsi che rispecchiano principi di legalità e giustizia, riprenderanno o sono riuscite a riprendere una nuova vita sociale e lavorativa. Le abbiamo ascoltate a Bologna, in una città in cui si sta facendo veramente tanto anche se ancora c’è molto da fare. Il vero problema però è che a livello nazionale va posto un freno a questa deriva della destra.

Sono 21 i suicidi tra le persone detenute e 3 nella polizia penitenziaria che si contano in carcere dal nuovo anno. Un dato allarmante che testimonia il livello di disperazione trasversale a cui sono sottoposti detenuti e personale. Le carceri stanno esplodendo e la situazione è diventata inaccettabile, con una tendenza chiara verso un modello securitario che vuole negare l’evidenza e ogni percorso rieducativo legato alla scuola, alla formazione, al lavoro e al reinserimento. Questa è la sicurezza al tempo del Governo Meloni che oltre ad essere un flop, nasconde ogni problema e propone una realta’ che non è vera.

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