Lunedì 11 settembre 2017 il consigliere comunale Francesco Errani ha presentato in Consiglio comunale il seguente intervento di inizio seduta relativo alla recente manifestazione a Bologna per la riapertura del centro sociale Làbas.

In allegato è disponibile il comunicato stampa. In allegato la rassegna stampa.

Gentile Presidente, sono state almeno 10.000 le persone che hanno manifestato in corteo a Bologna contro lo sgombero del centro sociale Làbas, avvenuto il mese scorso. Voleva essere una festa ed una festa è stata, con tanti giovani, famiglie, associazioni che hanno chiesto di riaprire Labàs, un centro sociale che esiste da quasi 5 anni a Bologna dopo l’occupazione della ex caserma Masini, e che ha una grande importanza all’interno del Quartiere Santo Stefano e della nostra città: produzione culturale e artistica, mercato alimentare di Campi Aperti, welfare con il progetto “accoglienza degna”, e molte altre attività sociali e culturali.
Lo sgombero della ex caserma Masini avvenuto l’8 agosto ha rappresentato una brutta pagina per Bologna. La violenza è sempre una sconfitta, è la testimonianza dell’incapacità di gestire una situazione conflittuale, è una dimostrazione di debolezza. Bologna non merita di vivere giornate così spietate, la nostra città ha le risorse, le capacità e l’umanità per trovare risposte.
Lo sgombero ha riproposto una riflessione sul tema della legalità, un dibattito che richiama la responsabilità di impegnarsi riguardo ad un tema che in questi giorni, come è sempre avvenuto in occasione di conflitti sociali, fa emergere divisioni profonde che attraversano inevitabilmente anche il nostro partito. Come per tutte le divisioni, per capire, non basterà ricorrere al pensiero comune, spacciato spesso da chi vuole una risposta facile e definitiva come buon senso, ma occorre andare a cercarne l’origine nei riferimenti culturali che le producono.
Don Lorenzo Milani, nella sua “Lettera ai giudici” (L. Milani, Lettera ai giudici, 18 ottobre 1965), quei giudici chiamati a giudicarlo poiché era stato denunciato per apologia di reato per aver preso posizione a favore dell’obiezione di coscienza riguardo al servizio militare, scriveva: “Ai miei ragazzi […] dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia […] Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto […] La tragedia della vostra vita di giudici è che sapete di dover giudicare con leggi che ancora non sono tutte giuste. Son vivi in Italia dei magistrati che in passato han dovuto perfino sentenziare condanne a morte. Se tutti oggi inorridiamo a questo pensiero dobbiamo ringraziare quei maestri che ci aiutarono a progredire, insegnandoci a criticare la legge che allora vigeva […] In quanto alla loro vita di sovrani domani, non posso dire ai miei ragazzi che l’unico modo d’amare la legge è d’obbedirla. Posso solo dire che essi dovranno tenere in tale onore le leggi degli uomini da osservarle quando sono giuste (cioè quando sono la forza del debole). Quando invece vedranno che non sono giuste (cioè quando sanzionano il sopruso del forte) essi dovranno battersi perché siano cambiate. La leva ufficiale per cambiare la legge è il voto. La Costituzione gli affianca anche la leva dello sciopero […] Questa tecnica di amore costruttivo per la legge l’ho imparata insieme ai ragazzi mentre leggevamo il Critone, l’Apologia di Socrate, la vita del Signore nei quattro Vangeli, l’autobiografia di Gandhi, le lettere del pilota di Hiroshima. Vite di uomini che son venuti tragicamente in contrasto con l’ordinamento vigente al loro tempo non per scardinarlo, ma per renderlo migliore […] io maestro sono accusato di apologia di reato cioè di scuola cattiva […] La scuola è diversa dall’aula del tribunale. Per voi magistrati vale solo ciò che è legge stabilita. La scuola invece siede fra il passato e il futuro e deve averli presenti entrambi. È l’arte delicata di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall’altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione).
Don Milani ci insegna che la legalità è prima di tutto un modo di vivere e di pensare. È, quindi, un impegno culturale, un impegno sociale e un impegno politico. Ci insegna che di fronte al tema della legalità siamo chiamati al coraggio della parola rispetto al conformismo, rispetto ad un pensiero che si alimenta di superficialità e di ignoranza. Un pensiero che, facendoci dimenticare il punto di riferimento fondamentale del nostro impegno politico ed umano, cioè l’impegno a ridurre le disuguaglianze e a costruire opportunità di inclusione dei tanti che vivono o rischiano la marginalità e l’esclusione, ci sta impoverendo e sta progressivamente corrodendo la democrazia.
Può esserci un’altra logica?
Cari colleghi, la legalità deve essere ogni giorno la nostra strada, il nostro modo di vivere. La legalità deve poi essere realizzazione della nostra Costituzione, che indica e ribadisce più volte la necessità di promuovere le condizioni che contrastino le disuguaglianze fra le persone: disuguaglianze economiche, disuguaglianze delle opportunità, disuguaglianze di sviluppo delle proprie potenzialità, disuguaglianze di partecipazione sociale.
Ci serve una legalità che non schiacci ma che protegga i più deboli, i più fragili, quelli che non sono funzionali a questo tipo di sistema economico e che rischiano la marginalità e l’esclusione, rimuovendone gli ostacoli alla partecipazione e valorizzandone il contributo.
Credo quindi importanti le parole del Sindaco di Bologna che suggerisce di avviare un confronto per individuare prima una soluzione transitoria per dare continuità all’esperienza di Làbas, attraverso gli strumenti a disposizione del Comune di Bologna (penso ad esempio al nuovo regolamento sui beni comuni per favorire partecipazione e responsabilizzazione, e ai laboratori di urbanistica partecipata promossi da tutti i Quartieri in città). È importante promuovere un percorso sugli spazi abbandonati e non utilizzati che possa anche riguardare l’uso temporaneo di una parte dell’ex caserma Staveco per mantenere le attività di Làbas di interesse per la nostra comunità, attraverso un percorso trasparente di riconoscimento e di impegno reciproco.
Segno di civiltà per una città come Bologna è una legalità ed una giustizia non basata sulla forza ma che accompagni le persone, qualsiasi sia il punto a cui sono arrivate, ad una presa di coscienza, ad una crescita, ad un cambiamento