Lunedì 19 giugno 2017, la consigliera Mariaraffaella Ferri è intervenuta ad inizio seduta in Consiglio comunale sul tema di carcerazione e questione femminile.

Di seguito il testo dell’intervento ed il comunicato stampa.

Si è svolto giovedì scorso, presso la sala del Consiglio Metropolitano, il Convegno “Carcere e Questione femminile: normativa, criticità e proposte. Un Progetto per Bologna”, promosso dall’Ufficio della Garante comunale per i Diritti delle persone private della libertà personale, Elisabetta Laganà, che ormai al termine del suo incarico amministrativo, ha inteso consegnare alla città una particolare attenzione da porre ai temi della detenzione femminile in generale e alla presenza dei bambini in carcere, detenuti insieme alle loro mamme, in particolare. Come abbiamo sentito anche nella recente Udienza Conoscitiva della 7° Commissione per la presentazione del Progetto Non solo Mimosa, dedicato alla salute ed il benessere delle donne detenute, attualmente sono 77 le donne recluse a Bologna, il 10 % della popolazione maschile detenuta, in
controtendenza rispetto alla media nazionale che attesta la detenzione femminile attorno al 4% della popolazione totale. Per oltre il 50% le donne detenute a Bologna sono di nazionalità italiana; le straniere hanno provenienze e nazionalità molto variegate; la fascia d’età prevalente va dai 25 ai 45 anni, e sono presenti anche due signore over sessantacinquenni.

A Bologna non abbiamo un ICAM, l’Istituto a custodia attenuata per le detenute adri, né una sezione nido interna alla Casa circondariale, ma i bambini detenuti insieme alle loro mamme ci sono e sono attualmente 4. Sono ospitati in celle comuni, prive delle attrezzature minime per accogliere ed accudire dignitosamente bimbi piccoli, ci ha detto la Direttrice Clementi, uno di questi è stato sistemato in un lettino da campeggio procurato dai Volontari perché non erano sufficienti le culle recuperate. “Siamo tutti d’accordo che i Bambini in carcere non ci devono stare, però ci vanno”, ha detto la Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Bologna Antonietta Fiorillo e dunque: che fare? Possiamo permetterci di prenderne solo atto, senza proporre soluzioni alternative? E poi non ci sono solo i bimbi che passano un certo periodo della loro vita in carcere, detenuti insieme alle madri detenute, ci sono anche quelli, assai più numerosi, che hanno un genitore detenuto e che periodicamente si recano in visita in carcere per incontrarlo, generalmente in ambienti anonimi, spesso brutti e rumorosi, dove non è consentita alcuna intimità o affettuosità familiare. Anche in questi casi, non c’è proprio nulla da fare? Non abbiamo nulla da dire? Per prima cosa occorre “spostare l’attenzione dal genitore colpevole al bambino innocente”, ci ha detto Daniela De Robert, dell’Ufficio del Garante nazionale per i Diritti dei detenuti, occorre individuare le soluzioni adeguate e praticabili nei singoli contesti e cominciare ad attuarle, con determinazione e costanza, in modo sistematico.

In molti casi si stratta di soluzioni relativamente semplici (anche se in carcere nulla e’ davvero semplice), legate all’organizzazione degli spazi e dei tempi, che andrebbero pensati a misura di bambino e per favorire la relazione familiare con e fra i genitori; grande aiuto potrebbe arrivare anche dall’uso delle tecnologie – dal telefono cellulare a skype – se non fosse così temuto nelle istituzioni chiuse il loro utilizzo, e sappiamo che il carcere e’ il luogo chiuso per eccellenza. Altre soluzioni per evitare la reclusione dei bambini in carcere sono certamente più complesse: si tratta di prevedere ad esempio l’apertura di case famiglia dedicate, di organizzare servizi sociali ed educativi flessibili e personalizzati, di potenziare e coordinare la rete di sostegno attorno ai nuclei familiari dei bambini con uno o entrambi i genitori detenuti. Semplici o complesse che siano, le soluzioni ai problemi dei bambini in carcere necessitano del concorso di molti soggetti e l’integrazione delle diverse competenze; soprattutto richiedono, come prerequisito, la volontà ferma e tenace di tutti ad operare il cambiamento possibile, nell’interesse primario del soggetto più debole che in questo caso sono proprio i bambini. Nel suo saluto iniziale l’Arcivescovo Matteo Zuppi ha ricordato che “chi ha più possibilità ha più responsabilità” nel risolvere i problemi e non c’è alcun dubbio che Bologna ha storia, cultura, capacità e risorse per intervenire.
Anche l’Ente locale deve fare la propria parte: l’assessora Zaccaria nel suo intervento si è dichiarata disponibile ed impegnata a cercare risorse e promuovere alleanze per affrontare e risolvere i problemi evidenziati.

Mi auguro che anche il Consiglio Comunale che già ha dimostrato grande interesse ed attenzione ai temi dell’esecuzione penale e della detenzione voglia contribuire, con la propria funzione d’indirizzo e di controllo, a risolvere il problema quantitativamente piccolo ma di grandissima rilevanza sociale che è la presenza in carcere dei bambini.