Lunedì 20 novembre 2023 la consigliera comunale Mery De Martino è intervenuta ad inizio seduta in Consiglio comunale sul tema “Se domani tocca a me, sorella, distruggi tutto”.
E’ possibile accedere qui al video dell’intervento in aula.

Di seguito il testo dell’intervento in aula.
Mentre noi siamo qui nel teatrino della politica nostrana a rinfacciarci dati sulla violenza di genere per screditare le politiche di questo o quel partito, una donna viene uccisa o abusata per mano di un uomo.
Mentre noi siamo qui nel teatrino della politica nostrana a litigare sull’utilità o meno di più controlli delle forze dell’ordine, dell’inasprimento delle pene, una donna viene uccisa o abusata per mano di un uomo.
Mentre noi siamo qui nel teatrino della politica nostrana ad accusarci, spesso tra donne, di essere troppo concentrate sulle violenze in strada piuttosto che su quelle domestiche (che restano il 94% del totale), o viceversa, un’altra di noi viene uccisa o abusata per mano di un uomo.
Quando anni fa parlai pubblicamente della relazione tossica in cui finii quando non avevo ancora 20 anni, quando non sapevo cosa fosse la violenza psicologica e lo scoprii a suon di schiaffi, lo feci per dimostrare, nel mio piccolo, che non esiste un prototipo di uomo o donna predisposti a dare o ricevere violenza. Che finché la comunità tutta non avrà i giusti anticorpi la violenza continuerà. Che per avere quegli anticorpi è necessario che tutte e tutti sappiano riconoscere i primissimi segnali della violenza che non è un’azione unica ma un processo infimo e in progressiva escalation. Che è necessario uscire dallo stereotipo e smetterla di pensare che l’uomo violento sia manifestamente violento (magari pure un po’ ignorante, o straniero, o di mala famiglia) e che la donna che subisce sia una debole dimessa. Senza una preparazione adeguata di tutta la comunità, tutte possiamo incapparci e nessuna deve vergognarsi o sentirsi giudicata per questo. Forti o no, istruite o no, italiane o no. E nelle istituzioni, nei partiti politici, nei ruoli di vertice, lì dove la società dice che ci sono le donne “affermate”, lì, tra loro, tra noi, ci sono migliaia di migliaia di migliaia di migliaia di migliaia di donne, di tutte le generazioni, che hanno subito violenza da un uomo. Ce lo dice la legge dei grandi numeri. E condividerlo significa legittimare i racconti ancora taciuti di tante altre di noi.
Io ne uscii quando l’ennesimo episodio avvenne non in pubblico, già successo inutilmente, ma, per un colpo di fortuna, davanti a un amico. Quello lui disse cambiò tutto: avevo capito dai racconti che le cose non andassero, ma non avevo capito fino a questo punto.
Anche lui non aveva capito, nonostante i racconti, i racconti in parte sinceri e in parte distorti di chi sta subendo prima di tutto una violenza psicologica. E non aveva capito perché nessuno aveva mai spiegato, a lui come a me, quali fossero i campanelli di allarme della violenza. A chi li conosce, a chi li sa riconoscere, basta, invece, anche il più breve e distorto dei racconti per capire. Ma oggi a saperlo fare è solo chi opera nel settore o chi ci è già passata. Troppo poco per invertire la rotta.
I centri antiviolenza, le associazioni, le autorità svolgono un ruolo fondamentale ma spesso arrivano già dopo, quando l’escalation è già cominciata, quando una vita è già stata compromessa, come quella di giulia o della donna che sabato, a Bologna, si è gettata dal balcone per sfuggire al marito. C’è tutto un pregresso sul quale non si interviene abbastanza, i centri lo fanno ma senza un approccio sistemico non basta, e non è un caso che all’atto del mio racconto pubblico decine di donne mi abbiano scritto per raccontarmi delle loro storie, troppo lievi (ai loro occhi) per rivolgersi alle autorità, ma troppo sofferte e simili alla mia per essere ancora taciute.
Intanto, mentre noi siamo qui, le lancette dell’orologio continuano a scorrere. Tra 72 ore un’altra di noi cadrà per mano di un uomo. Sorella, chiunque tu sia, possa il nostro pensiero dare almeno un po’ di sollievo alle tue ferite. Il pensiero di noi che siamo complici e colpevoli perché anche tu non sarai l’ultima e tra altre 72 ore ci sarà un altro lutto che dovremo far vivere. E se da oggi, al di là delle specifiche sensibilità personali o politiche, non saremo in grado di riconoscerci tutte come vittime di un sistema patriarcale e machista. Se da oggi non saremo in grado di riconoscere negli uomini, a prescindere dalla loro estrazione sociale, economica, geografica, e nel sistema culturale maschilista privo di sufficienti anticorpi in cui crescono, il vero problema. Se da oggi non capiremo che questa è una battaglia comune, che le voci si devono moltiplicare, e che noi donne abbiamo le armi spuntate perché siamo ancora divise da una strategia tutta maschile. Se da oggi non capiremo che servono, certo, più presidi in strada ma soprattutto una rivoluzione culturale e un’azione preventiva strutturata e capillare, che non sia un doposcuola ma un intervento sistemico che coinvolga tutta la società, perché l’autorità non arriverà mai in tempo per tutte, perché l’inasprimento delle pene non ci restituirà le nostre sorelle. Se da oggi non capiremo tutto questo e continueremo a sbracciarci nel teatrino della politica nostrana, a non prendere posizione quando un uomo minimizza o giudica il nostro operato e i nostri racconti, quando ci spiega cosa è o non è violenza, quando parla al nostro posto. Se non porteremo gli uomini, tutti, verso un’analisi di ciò che ancora oggi sbagliano, allora, forse davvero, in questa guerra civile, non resterà che distruggere tutto.
