Martedì 9 dicembre 2024 il consigliere comunale PD Roberto Iovine ha presentato un intervento di inizio seduta dal titolo ““Zecche rosse” anche all’interno della Consulta?”.
E’ possibile accedere qui al video dell’intervento di presentazione in aula.

Di seguito il testo dell’intervento in aula.
Nella sentenza n. 195 del 2024, depositata il 6/12, la Corte costituzionale ha deciso il ricorso della Regione Campania contro le norme della legge di bilancio 2024 (legge n.213/2023) che stabilivano a carico delle regioni a statuto ordinario, per ciascuno degli anni dal 2024 al 2028, un contributo alla finanza pubblica pari a 350 milioni di euro annui.
La sentenza recita che, in un contesto di risorse scarse, “per fare fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica (…) devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quella che si connota come funzionale a garantire il “fondamentale” diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino (…)”.
La Corte in sostanza, dice che per contenere la spesa pubblica, devono essere prioritariamente ridotte altre spese, rispetto a quelle sanitarie. Ecco che quando il governo ha chiesto alle Regioni un sacrificio di 305 milioni per il ‘24 e 350 milioni all’anno sino al ‘28 non ha tenuto conto che questi tagli avrebbero influito sul finanziamento della sanità, già peraltro in grave sofferenza.
il diritto alla salute, infatti, “coinvolgendo primarie esigenze della persona umana», non può essere sacrificato «fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi che non rivestono la medesima priorità”.
Ricordo che nel 2023 in Italia la spesa sanitaria pubblica si attesta al 6,2% del PIL, un valore ben al di sotto sia della media OCSE del 6,9% che della media europea del 6,8%. Sono 15 i paesi europei dell’area OCSE che investono una percentuale del PIL maggiore dell’Italia, con una distanza che arriva al 10,1% della Germania.
In Italia nel 2023 la spesa sanitaria pubblica pro-capite è pari a $ 3.574, di $ 600 inferiore alla media OCSE ($ 4.174) e soprattutto inferiore di $ 896 della media dei paesi europei dell’area OCSE ($ 4.470). In Europa ben 15 paesi investono più del nostro, con un gap che va dai +$ 410 della Repubblica Ceca ($ 3.984) ai +$ 3.825 della Norvegia ($ 7.399). «Di fatto in Europa siamo primi tra i paesi poveri, davanti solo a Spagna, Portogallo e Grecia e ai paesi dell’Est, esclusa la Repubblica Ceca»
I 137 miliardi stanziati quest’anno (poco più del 6% del PIL) sono palesemente insufficienti a coprire il fabbisogno sanitario per cui gli italiani saranno costretti a spendere altri 44 miliardi (sia attraverso assicurazioni che out of pocket) per la propria salute. Il sottofinanziamento pubblico è una tradizione ormai decennale e riguarda tutti i governi che si sono succeduti ma il fatto che i predecessori si siano mostrati inadempienti non giustifica l’inadempienza attuale.
Abbiamo letto recentemente come nell’ultimo anno circa 4,5 milioni di italiani hanno rinunciato ad una o più cure mediche a causa delle lunghe liste di attesa e del costo elevato della sanità privata, cui si ricorre se il SSN non è in grado di soddisfare la domanda.
Possiamo tirare un sospiro di sollievo dopo questa sentenza? No, ovviamente ma almeno viene di nuovo e fortemente ricordato dalla Consulta che il diritto alla salute è un diritto costituzionale, che deve essere prioritariamente rispettato.
Come sappiamo, la legge sull’autonomia differenziata, tanto cara alla Lega, ha subìto un importante stop da parte della Corte costituzionale, la quale – dopo l’esame dei ricorsi presentati dalle regioni Campania, Puglia, Sardegna e Toscana – ha dichiarato incostituzionali alcune disposizioni contenute nel testo della legge.
Resta da vedere quanto tempo occorrerà a esponenti politici di governo prima di “denunciare” la presenza di “zecche rosse” anche tra le fila dei giudici della Consulta dopo la sentenza sul diritto prioritario alla salute.
